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Clavier

Il termine, dal latino clavis, ossia chiave (per estensione, tasto), è genericamente traducibile in italiano con il termine “tastiera”, ovvero con l’espressione “strumento a tastiera”.
Nella Germania del XVIII secolo, il clavier era la sintetica e diffusa definizione riguardante una vasta famiglia di strumenti.
In prima istanza il clavicembalo, forse il più diffuso. I clavicembali tedeschi, si pensi ai celebri modelli realizzati da Mietke, Zell oppure Haas, possedevano peculiari qualità costruttive e foniche.
Ma anche l’organo. Non certo i grandiosi ed elaborati strumenti delle chiese protestanti dell’epoca, bensì quelli di più modeste dimensioni, ad un solo manuale (termine tecnico relativo alla specifica sezione della tastiera vera e propria), detti anche “positivi” (dal latino positum, “seduto”). Adatti ad accompagnare piccoli gruppi strumentali o vocali, gli organi positivi erano agevolmente trasportabili.
Seguivano spinette e virginali, affini al clavicembalo in quanto “a pizzico”. Non ad esso paragonabili per consistenza fonica e capacità performanti, vennero comunque costruiti in quantità rilevanti, grazie alle ridotte misure d’ingombro.
Il termine clavier includeva anche il clavicordo: strumento non “a pizzico” bensì “percussivo”, in quanto basato in linea di principio sul medesimo meccanismo del più recente fortepiano. Piccolo e leggero, esso permetteva quella tecnica esecutiva del vibrato (bebung) che ne faceva, secondo alcuni, lo strumento prediletto da Bach. Tecnicamente non facile da padroneggiare anche per i clavicembalisti più esperti, il clavicordo paga il prezzo di una capacità fonica realmente minima: è un vero strumento domestico. Tale limite nel XVIII secolo era stato in parte superato realizzando strumenti dalle maggiori estensioni, in alcuni casi dotati anche di pedaliera.
Il fortepiano al tempo dei Bach aveva già acquisito una certa fama in Germania: celeberrima la ricognizione dell’oramai maturo Bach sui modelli Silbermann, acquistati dal re di Prussia Federico il Grande. È probabile che lo strumento non avesse ancora una effettiva diffusione, dati i costi probabilmente ingenti, e forse anche per una meccanica non particolarmente efficace.
Per concludere, il lautenclavycimbel, talvolta noto come lautenwerck. La principale differenza rispetto al clavicembalo ordinario era rappresentata dall’utilizzo di particolari materiali per la costruzione delle corde. Ad esempio: la minugia, un budello ovino che conferiva una speciale dolcezza sonora, paragonabile a quella del liuto.

Massimo Salcito

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